Feeling like a dead duck
Appunti sparsi, sconnessi, presi su un foglio di carta all'aeroporto di Milano.
"...ci guadagno in salute e in qualità della vita..."
Qualità della vita?
Fanculo.
La vita di questo bambino guidato dalla sua povera madre vale molto di più di quella di questo manager in carriera che è ricco, e glielo si legge in volto, assieme al fatto che è infelice.
Ho incontrato Alessandro all'aeroporto [dopo un anno che frequento praticamente abitualmente questo posto lo ammetto una volta per tutte: non so scrivere la parola aeroporto, o areoporto o lo stracazzo che è. La mia mente malata si è immaginata un Fraenk seduto al cospetto di Gerry Scotti mentre quest'ultimo chiede:
"L'aereo è atterrato in un...
A) aeroporto
B) areoporto
C) aereoporto
D) campo di calcetto sopra casa di Fraenk"
A quel punto chiederei l'aiuto del pubblico.
O più probabilmente me ne andrei, in lacrime.] di Granada mentre aspettava di prendere l'aereo per Barcellona, e questo mi ha aiutato a capire.
Era in erasmus anche lui.
Non è più tornato nella sua Milano, come non lo ha fatto Silvia, che ora ha la residenza a Granada, come non lo ha fatto Luca.
Io sì, sono tornato, ma ho lasciato dietro me pezzi di cuore, meticolosamente, perchè come un moderno e affranto pollicino, possa un giorno ripercorrere nuovamente questa strada.
Ritrovarla.
E ritrovarmi.
Non è poesia, è vita cazzo.
I Glendalough apriranno il concerto dei Jethro Tull, ed un fatto così insignificante potrebbe costituire in qualche modo l'ennesimo cambiamento della mia vita.
Status quo. Sono nato per mettere radici, in qualunque luogo mi trovi, ma ho scoperto con il tempo che sono i cambiamenti a farmi sentire vivo davvero. E considerando che non puoi mettere radici su una panchina dell'aeroporto di Milano, credo di essere nel posto migliore per scrivere di questo.
Un giorno capirò.
Capirò del tutto.
Magari capirò perchè faccia così male, quel taglio, nonostante poi sia spaventosamente bello volteggiare nell'aria, volare, volare, e lasciarsi depositare di nuovo, per vedere quelle radici crescere, ancora una volta.
E' in quel volo, la bellezza, e la chiave?
Non c'entra nulla con tutto ciò - o forse sì - ma mi è appena venuta alla mente una frase di una canzone dei massimo volume e sto pensando che, nella sua apparente semplicità, è di una potenza unica.
*Erano gli ultimi istanti di quella che da allora in poi avrebbe chiamato la sua vita precedente.*
Ho un'immagine di me e Giulia, da piccoli.
Chiusi in camera mia, scrivevamo su un foglio articoli di giornale, raccontando storie assurde, divertenti probabilmente solo nella nostra mente di bambini. Quel foglio, poi, lo lanciavamo dalla finestra, perchè il vento e il destino lo portassero ad un passante qualunque, scelto per essere l'unico destinatario del nostro giornale.
Avevamo dieci anni.
Per un attimo ho pensato di fare la stessa cosa ora, con questo foglio.
Ma c'è una differenza da allora, ed è che non sono più un bambino ed ora so che da quella finestra, il nostro foglio si depositava irrimediabilmente per terra e lì restava, fino all'arrivo, fatidico, dello spazzino di turno,
Ho scritto che non sono più un bambino ma questo non è vero del tutto, perchè quando affiderò la versione digitale di queste mie parole a quel blog (cioè adesso) non farò altro che ripetere, per l'ennesima volta anche se in maniera differente, quel rito mai dimenticato.
Crescerò.
Un giorno.