sabato 3 novembre 2012

Il buon jazz

Il cotton club di Roma di trova dietro piazza Istria. In una via davanti alla quale sono passato per 5 anni, andando a scuola. Eppure io 'sto locale io non l'avevo mai notato. Forse perché non ha aperto da tanto tempo. O forse perché da fuori sembra decisamente bruttino, o, quantomeno, insignificante.

Tralascio la fase organizzativa della serata: io e il gigante surio abbiamo dato il meglio di noi nella nostra lotta contro un destino avverso che si é palesato in una serie di buche all'ultimo minuto rifilate da gente di tutti i tipi.
Basti sapere che alla fine, in un modo o nell'altro, un gruppetto di sei persone ce l'abbiamo fatta a tirarlo su, e cosí siamo andati a sentire cosa aveva da raccontare il grande Lino Patruno con i suoi "blue four".

Giá l'interno del Cotton Club ci porta indietro nel tempo di una settantina d'anni. Non solo per l'allestimento della sala, che sembra uscita dagli anni 40, ma anche per l'etá media del pubblico, decisamente altina.
Probabilmente siamo gli unici ad avere meno di 40 anni, ma ce ne preoccupiamo poco e ci accomodiamo al nostro tavolo, situato in uno scomodissimo angolo da cui praticamente non si vede il palco. E vabbé.

Appena salgono sul palco Lino Patruno e il suo violinista, si capisce subito che la serata sará di grande livello.
Dico subito che Lino é il nonno che tutti noi vorremmo avere.
Un vecchietto sorridente che con una voce ammaliatrice ed una chitarra in mano ti parla della storia della musica, ti racconta di Joe Venuti, di New Orleans, del Jazz, e tutto questo non (solo) da grande esperto ed amante di quel mondo lì, ma da vero protagonista. Un po' come sentirsi raccontare la seconda guerra mondiale da un reduce, solo che questa è musica, è bellezza, non c'è sofferenza o rimpianto nelle sue parole ma solo un grande sorriso mentre divertito racconta storie assurde di molisani emigrati in america per inventare il Jazz e poi morti giovanissimi a seguito di operazioni sbagliate, o la storia di Bing Crosby il primo grande cantante bianco di Jazz, o l'incredibile storia di Django Reinhardt, il chitarrista che perdendo due dita in un incendio inventò una tecnica chitarristica tutta sua, che ancora oggi lascia ammirati i fan del genere.
La serata vola così, con Lino che introduce ogni pezzo raccontandone la genesi e l'importanza artistica, accompagnato da un gruppo di musicisti che sono dei veri e propri personaggi. Su tutti, il trombettista Michael Supnick e il vocalist Clive Riche, che tengono il palco alla grandissima.
Ma il vero protagonista è probabilmente un sax basso degli anni 20, un oggetto spettacolare solo a vedersi, e con un suono caldo e profondo che ha stregato tutti i presenti. Il sax di suo ha un suono bellissimo, ma ragazzi questo veniva proprio da un altro pianeta.

La serata non poteva non concludersi con l'acquisto di un cd, e gli autografi di rito, e le foto di gruppo con quasi tutta la band, e le strette di mano, e i complimenti a profusione, e i ritorneremo sicuramente.


E rimane nell'aria un sospetto, che con il passare del tempo diventa convinzione.
Siamo nati nell'epoca sbagliata, in ritardo di una sessantina d'anni.

Mannaggia a noi.






Nessun commento:

Posta un commento