giovedì 31 maggio 2007

SEGUNDO DIA


(o el Ian Anderson es un cabròn, coño!)


 


 


Non so se abbiamo veramente dormito. Di certo non abbiamo riposato.


 


Sono passate meno di tre ore quando apriamo gli occhi e realizziamo che è ora di fare il check in per il nostro secondo aereo. Sciacquarci la faccia nei bagni dell'aeroporto serve a poco. Sui nostri volti è ancora scritta la follia del giorno precedente, e non potrebbe essere altrimenti.


Eppure, nonostante questo, siamo pronti ad affrontare un altro giorno, un altro viaggio, un'altra avventura.










Via, verso Siviglia, in un tunnel inesorabile verso l'assurdo.



 


 


 


 


 


 


 


 


 




Più volte, nelle settimane passate, mi ero chiesto come mi sarei sentito, stando seduto in quell'aereo.


 


 


Cosa possono provare due italiani, in un viaggio dall'irlanda alla spagna, come non avessero patria, nè meta?


 


 


Dare una risposta non è facile, neppure per me che l'ho vissuta.


 


 


Stanchezza, certo, ma quello è normale dopo le follie del giorno precedente.


E soddisfazione, ma anche quello è scontato.


 


 


 


Ma per assurdo mi ritrovo un pensiero nella testa, anzi una (pessima) citazione musicale.


 


 


 


 


Le distanze ci informano che siamo fragili.


 


 


 


 




No.


 


 




Affatto.


 


 

Le distanze ci informano che siamo forti. Forti come non mai, perchè noi, quelle distanze, le abbiamo annientate, annichilite, distrutte.


 


 


Non c'è più distanza, lontananza, spazio fisico che tenga, ora che possiamo dividerci e spalmarci su tre nazioni


 



 


// tutto in quel nostro gesto


 


 


// bastano pochi giorni e un po' di volontà


 


 


 


// ogni distanza è vinta


 


// partire e tornare vincitore


 


 


// fargliela vedere, a questo mondo qui


 


 


 


 


// fargli capire che non lo temiamo,


 


// lui, e le sue distanze, e i suoi chilometri, no, non li temiamo


 


 


 


 


 


come puoi non sentirti incredibilmente forte di fronte a tutto questo?


 








 


 




 


 


 


 


Atterrati a Siviglia c'è il tempo per uno dei dialoghi a suo modo migliori di tutto il viaggio.


 


 


 


 


- Ieri eri nel volo roma-dublino vero?


- Come?


- Sì, ieri hai fatto la hostess nel volo che veniva da Roma, vero?


- Sì, ma...cioè, c'eravate anche voi?


 


 


 


Indimenticabile.





 


 


 


 


Da Siviglia non ci restano che due modi per andare a Granada, meta effettiva del nostro (secondo) viaggio. Il primo è banale e scomodo: autobus.


 


Ma noi non ci accontentiamo di una soluzione così scontata. Vogliamo di più, vogliamo essere rock fino in fondo. Per questo ci dirigiamo con passo sicuro verso i noleggi auto.


 


 


 


80 euro solo noleggio per un giorno è l'offerta migliore che riusciamo a trovare.


 


 


 



Optiamo per il modo banale e raggiungiamo Granada alle 5 e mezza del pomeriggio a bordo dei potenti mezzi dell'alsina graells, che non saranno rock, ma almeno ci permetteranno di mangiare, e non è poco.


 



 


 


 


Dopo un rapido saluto alla famiglia spagnola e le presentazioni di rito veniamo trasportati al Coliseo di un pueblo vicino Granada dove si sarebbe svolto il concerto dei Jethro Tull + Glendalough.




 


Il tempo di salutare Lorena e veniamo messi al corrente della situazione: Ian Anderson ha sentito suonare Cristobal, il flautista dei Glendalough, e non accetta che gli facciano da spalla.


 


 


 


Teme che gli rubino la scena.


 


 


 


 


- O suonate senza flauto o niente.


 


- Senza flauto noi non suoniamo, poco ma sicuro.


 


 


 


 


 


Allucinante.


 


 


 


 


 


Vedo Ian Anderson passarmi pochi metri di distanza e l'unica cosa che mi viene da chiedermi è come possa essere tanto idiota.


 


 


 


Che fosse una persona arrogante e piena di sè l'ho sempre saputo, o almeno sospettato. Il suo comportamento me l'ha confermato.


 


Per fortuna interviene il solito Juan a risolvere la questione. Non che ne avessi mai dubitato veramente. A perdere, lui non perde mai. Atterra in piedi sempre, qualunque cosa capiti. E anche stavolta, si inventa un pezzo dei suoi, prova a parlare direttamente con Ian il quale gli rigira il suo manager, e gli basta poco per convincerlo:


 


 


 


 


 


Che è questa storia? Il grande Ian Anderson ha paura di un gruppo di ragazzi di 25 anni? Un dio del rock che si fa spaventare da un gruppetto di provincia? Ma si rende conto di quanto sia ridicolo? E c'è pure gente venuta apposta dall'Italia....


 


 


 


 


 


E' fatta, si suona.


 


 


 


 


 


Tempo 10 minuti e abbiamo caricato tutto l'armamentario del gruppo sul palco. Djembè, batteria, pianola, amplificatori, cavi...tutto montato a tempo di record.


 


L'imprevisto con Ian Anderson ha rubato tempo prezioso alla prova strumenti che difatti si svolge in un quarto d'ora mentre la gente già entra per il concerto chiedendosi chi siano quei mocciosi sul palco.


 


 


 


 


Ma sono dettagli insignificanti, tutto viene dimenticato quando quei mocciosi iniziano a suonare e tutto sembrano meno che novellini, Jesus con le sue percussioni, e Javi con il suo piano e Juan con il suo violino e Cristobàl col suo flauto e Jesus con la sua batteria e Rafael con la sua chitarra, e Dani col suo basso, loro e la loro musica che viene dal nord, dall'irlanda per assurdo, proprio come me e bubu, musica celtica, da ballare, e infatti di lì a poco la gente si alza in piedi ed inizia a muoversi, a saltare, senza paura di sembrare cretina, così, come viene.



 


 


 


Da applausi, tutto quanto.





 


 


 


Il momento di gloria dei Glendalough dura mezz'ora. Allo scadere, devono lasciare il posto al gruppo serio, quello importante. Quello famoso.


 


I Jethro Tull si presentano per quello che sono, senza nascondersi: un gruppo di vecchietti, troppo in là con l'età per suonare ancora vero rock, ma ancora troppo ardenti per ritirarsi dalle scene. Il risultato è una miscela strana, suonata a volume non troppo alto perchè chissà, magari le orecchie non reggono più come un tempo, ma che non manca di concedere momenti intensi, figli della classe che fu.


 


L'attitudine rock di un tempo è quasi svanita, lo testimonia una versione completamente distrutta di Aqualung, e ciò che è rimasto è un flautista indemoniato che sul palco gioca di esperienza, con smorfie e ammiccamenti alla folla adorante già rodati in decenni di concerti.



 


 


 


 


Proprio quando il concerto inizia ad annoiare, i Jethro Tull abbandonano il palco, a testimoniare almeno un gran senso della misura. Non faranno concerti indimenticabili, ma l'esperienza chiaramente non è acqua.


 


 


 


 


Nel dopo concerto possiamo finalmente fare due chiacchiere con i ragazzi, visibilmente rilassati e soddisfatti ella prestazione. Si scherza nei camerini per ancora un paio d'ore (il tema portante è ovviamente la presa in giro dei Jethro Tull ed il compito è perfettamente assolto) finchè persino Juan non si rende conto di essere stanco morto.


 



 


Bubu, lui è crollato a fine concerto ed è più che giustificato. Trovarsi catapultato tra la parlantina di Juan e di Javi, e la loro tipica irruenza spagnola senza riuscire a capire una sola parola avrebbe steso chiunque. Figurarsi dopo le ultime 48 ore.



 


 


 


Una volta a casa ci stendiamo a letto in due minuti.



 


 


 


 


 


 


Chiudiamo gli occhi che sono le 2, più o meno, chiedendoci da dove diavolo abbiamo tirato fuori tutte quelle forze.





 


 


 


 


 


 


 


 


E, soprattutto, cosa mai abbiamo fatto di buono, nella vita, per meritarci tutto questo.

1 commento:

  1. io voglio quest'uomo presidente del globo. la tue parole sono musica, ma quella buona, quella forte. Nessuno, manco Omero avrebbe potuto tirar fuori dall'impresa parole migliori.Grazie Frenk

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