domenica 18 marzo 2012


Le 20.55, alla stazione di Southampton centrale.

Il bus 205, direzione London Heathrow, è vuoto attorno a me. L’autista mi guarda: solo due persone stasera dice. Mi guardo intorno, non capisco bene, forse si è incluso nel calcolo. L’M3 è micidiale, tutta dritta, spero di non addormentarmi, fratello. Ride.

Una volta mi è capitato, ero stanco, avevo 25 persone nel pullman, gli occhi mi si stavano chiudendo, una volta, due volte, tre volte. Mi sono fermato alla stazione di servizio per riprendermi. Una ragazza tra i passeggeri si è arrabbiata, mi ha detto: il mio ragazzo mi aspetta alla stazione, non possiamo fare tardi.

Fratello, l’ho guardata e le ho detto: se non mi fermo adesso, il tuo ragazzo rischi di non vederlo più.

Ok, guarda, non ho nessuna ragazza che mi aspetta a Londra, fai tutte le fermate che vuoi.

Sotto i suoi baffoni neri, ride di nuovo, la sua risata sguaiata. Certo certo, tranquillo brother.

Mi infilo le cuffie, i verlaine attaccano a cantare: “ti meriti di più di un colpo di pistola”. Non so perché ma sembra un presagio.

Il pullman doveva essere già partito, vedo l’autista mettere in moto stancamente. Poi, con poca sorpresa, apre la portiera, e appare lei.

Con indifferenza, quasi fosse normale, quasi fosse abitudine, sale i pochi gradini del pullman e si fa strada tra i posti vuoti e il mio sguardo sorpreso. Probabilmente è il contrasto con il cielo notturno e questo pullman deserto, come la stazione, come la città. Oppure è la naturalezza dei movimenti o la sua solitudine inafferrabile. O forse è davvero la più bella ragazza che abbia mai visto.

Non si accorge di me, naturalmente, si siede pochi posti avanti.

Ora siamo tutti, il pullman può partire e io non mi sono ancora ripreso.

Guardo davanti a me, spero che si volti – che cosa stupida, per quale motivo poi? – ma è una statua di ghiaccio. Comprensibile, a questo punto è forse solo un frutto della mia fantasia, cos’altro potrebbe fare una persona che nemmeno esiste fuorché starsene lì, immobile, come una persona che nemmeno esiste, appunto.

Mentre il bus procede stancamente, mi cade l’occhio sul monitor, giusto sopra la testa del conducente. Una telecamera fissa, attaccata al paraurti, inquadra la strada illuminata malamente dai fari. Non ci sono altre luci, tranne quelle delle poche macchine che raramente ci sorpassano.

Passo lo sguardo dal monitor ai capelli castani di quella ragazza, al monitor di nuovo. Tutto inutile, la strada è sempre uguale e la ragazza è ancora lì, immobile. O almeno così sembra.

La staticità della scena è interrotta solo dal lento oscillare del pullman, che sembra volermi cullare. Rispondo socchiudendo gli occhi, ma non abbastanza da impedirmi di notare nel monitor un punto in movimento sulla carreggiata. L’autista continua ad andare dritto, forse non l’ha visto. Procede lentamente nonostante l’ora e la strada semideserta. Il movimento nel monitor si fa più nitido, acquista i contorni esatti di un cane, sembra un volpino. Il pullman non rallenta.

Il volpino cammina a testa bassa, incurante, dritto verso la sua morte. Solo all’ultimo momento alza lo sguardo, fisso sulla telecamera, sembra voler lasciare un ultimo saluto prima della fine.



L’impatto non c’è. Il pullman sembra attraversarlo di netto, senza nemmeno un sussulto. Trattengo un gemito per non fare la figura dell’idiota, è tutto fin troppo chiaro, è stato solo un sogno.

Maledetta suggestione e fottuto stephen king, giuro, è l’ultima volta che leggo un suo libro.

Con una tempistica eccezionale, quasi stesse aspettando quel segnale, la più bella ragazza del mondo si alza in piedi, e si gira verso di me. Mi passa accanto e finalmente posso vederla negli occhi: almeno ora ho la certezza che esiste ed è strano come anche solo questo pensiero possa essere di una qualche consolazione.

Le sorrido e sembra ricambi, o forse voglio solo illudermi un po’. Dico hola e salutarla in spagnolo è solo una delle tante cose idiote che avrei potuto fare. Mi guarda sorpresa, e un po’ rattristata. Adios, mi risponde, e passando apre la porta del bagno dietro di me.

C’era un bagno. Buffo, non me n’ero nemmeno accorto.

Si chiude a chiave, probabilmente non le ho fatto una buona impressione. Ma perché bastano un bel paio di tette per far girare la testa agli uomini, si sarà chiesta.

Il pullman macina metri, che diventano chilometri. Il disco dei verlaine è già finito da un pezzo e non ho tolto le cuffie mute dalle orecchie. Non mi piace farlo, sono un comodo rifugio quando sono solo in un pullman guidato da un pazzo e con una ragazza bellissima e un po’ inquietante che non accenna ad uscire dal bagno. Che ci sia musica o meno, è assolutamente indifferente.

Altri chilometri, troppi chilometri. Sono passati almeno quindici minuti, la porta del bagno è ancora chiusa dietro di me. Nessun rumore, fuorché quello ingombrante del motore del bus. Mi alzo in piedi e busso. Nessuna risposta. Provo a chiamare, appoggio l’orecchio, niente. Ehi, tutto ok?

Possibile che sia stato davvero un sogno?

Chiamo l’autista. Che succede, fratello? Quella ragazza che è salita prima, l’hai vista no? Si è chiusa in bagno da venti minuti, non esce.

Ti scappa così tanto? Ride. Io no.

Dico sul serio, non risponde, non è che si è sentita male? Ehi fratello, io meglio di così non riesco a guidare.

Please, be serious. Ok, ok, mi fermo a quella piazzola e vengo a controllare.

Accosta molto velocemente, lascia il motore acceso, forse è arrabbiato ma non mi interessa molto, difficilmente diventeremo buoni amici in futuro. Si dirige con passo pesante verso la porta ed inizia a bussare pesantemente. Ehi, signorina. Signorina l’avviso sto entrando. Non attende risposta, con un colpo secco spacca la serratura e spalanca la porta. Un gesto eseguito così velocemente da farmi domandare chissà quante altre volte gli sarà capitato di farlo.

Oh, no, shit. E’ spaventato, ma in un modo strano, quasi con rassegnazione. Insomma anche in questo è diverso da me: io sono terrorizzato.

No, shit, non un’altra volta. La ragazza è seduta sul water, le mutande calate, la testa appoggiata delicatamente alla parete alla sua destra. Su entrambi i polsi, molteplici tagli, come se uno scalpellino impazzito avesse deciso di accanirsi sulle sue vene.

Il pavimento è un lago rosso, ordinato, alimentato dai rivoli che scendono dal lato destro e sinistro del water.

E la cosa che non dimenticherò mai, la sua bocca, carnosa, bellissima, piegata in un insano sorriso.

L’autista non la tocca, forse ha paura ma non lo dà molto a vedere. Grida solo, no, shit! Shit!

Lo guardo, impietrito, trattenendo a stento i conati di vomito.

Chiamiamo la polizia no? Sì, shit. Grida ancora qualcosa che non capisco e prende il suo telefono. Digita un numero e si mette all’ascolto. Fissa il vuoto con occhi impietriti.

Passano secondi, pesanti macigni. Nessuna risposta.

Lo guardo negli occhi, confuso, ma non sembra ricordarsi più della mia esistenza. Sullo sfondo, il monitor continua a trasmettere lo stesso ripetitivo canale di due strisce bianche sull’asfalto nero, male illuminato.

Passa una macchina sfrecciando, al lato. Le luci rosse si spengono velocemente dietro una curva.

Nel silenzio irreale fa capolino nuovamente lo stesso volpino di poco prima, ed è un’apparizione che dà i brividi. Fissa nuovamente la telecamera, stavolta ne sono sicuro, lo fa di proposito, con una calma innaturale ed inquietante. Sembra una sfida, un gioco a cui non so giocare.

Lo vedi? Lo vedi anche tu?

Certo che lo vedo, mica sono cieco. Ma dov’è?

Lo guardo, non capisco. Che vuol dire dov’è? Lo vedi o no?

Sì, sul monitor, ma dov’è? Non vedi, per strada non c’è.

Che cosa assurda, fissare un monitor per non vedere dal finestrino il nastro di cemento che si srotola nel buio. Forse è un meccanismo di autodifesa. Serve per difendersi dal reale e non rischiare di impazzire.

E’ meno semplice di quel che possa sembrare, ma alla fine abbasso lo sguardo e vedo, il cemento, la strada, le strisce bianche. Ma è quello che non vedo a dare i brividi, davvero, non c’è, forse lo stiamo solo immaginando, come diavolo è possibile, dov’è quella bestia a parte nel monitor e nei nostri occhi, e sulla nostra pelle come un brivido agghiacciante? Esistono davvero, da qualche parte, quegli occhi che mi scrutano?

L’autista mi guarda e pronuncia una sola parola, balbettando. Chupacabras.

Andiamocene, brother. Andiamo via, subito, al diavolo tutto.

3 commenti:

  1. e poi?!

    come continua?!?

    non puoi interrompere così, il pubblico vuole sapere come va a finire!!!

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    1. muoiono tutti?!? ma come?! non può finire cosi?!

      non ci sto a darla vinta al Chupacabras!!!

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